La Quaresima a Roma, la Chiesa e l’’osservanza di digiuni severissimi in segno di penitenza. 

Quando la sera si diffondeva per le strade il suono delle campane, che annunciavano l’inizio del periodo quaresimale, tutto il popolo aveva pronto un proverbio: “la campana suona a merluzzo”.
Digiuno per la quaresima
In quei lunghi 40 giorni di quaresima a Roma sparita aumentava il consumo del baccalà, e del pesce.
Per chi se li poteva permettere!
Tutti si dovevano astenere assolutamente dal consumare carne.

Dieta dei poveri
Per il popolino la quaresima non era un problema, visto la penuria  di alimenti ricchi e sostanziosi, che non comparivano quasi mai nella sua dieta e della carne, riservata alle grandi occasioni, naturalmente  quella ovina e le viscere dei bovini; a Roma poi si produceva formaggio pecorino, ricotta e latte.
Accanto al pane La dieta dei poveri era perlopiù fatta di vegetali, come quelli che nascevano spontanei nelle campagne e negli orti addossati alle porte di Roma o nelle tante Ville, e che venivano raccolti dai romani.
Non dimentichiamo che la cicoria era (ed è) una verdura tipicamente romana e nasce spontanea ai margini di sentieri, campi coltivati, terreni incolti, zone a macerie e ambienti con ruderi,  praterie ma anche in aree abitate dall’uomo. Così si poteva cogliere magari passeggiando a Villa Borghese o ancora durante una gita ai Castelli.

E per aggiungere proteine si poteva mangiare una frittata, dei legumi .
Il prezzo del pane poi era calmierato perchè anche questo era la base della dieta dei poveri…
Non mancava mai un bel bicchiere di vino […]  dei Castelli…

Proprio a causa della povertà erano periodiche erano le distribuzioni di minestre per i poveri , soprattutto nei mesi invernali e primaverili, quando non si trovava più grano e farina di frumento per masse di “miserabili”   e famiglie di braccianti disoccupati.

Dieta dei ricchi
Invece per i ricchi, i nobili e i cardinali  il digiuno imposto in quaresima era un bella rinuncia!
Una deroga a questo stretto regime alimentare era concessa solo agli  anziani e ai malati, previo permesso scritto da parte del medico e del parroco, era loro concesso  di mangiare uova,  formaggio e la stessa carne.
E così grazie a qualche moneta si riusciva ad aggirare l’ostacolo e spesso a mantenere il regime alimentare solito…
Ci racconta il periodo della quaresima il poeta romanesco G.G.Belli nel sonetto: Er primo giorno de quaresima..

 Come io nun zò cristiano! Io fo la spesa,
oggni ggiorno der zanto maritozzo. 1
Io nun cenavo mai, e mmó mme strozzo
pe mmaggnà ott’oncia come vò la cchiesa. 2

5
Ciò avuta la scaletta,3 e mme sò ppresa
pe l’amor de Ggesú ssin ar barbozzo 4
una pianara o ddua d’acqua de pozzo,
e ll’acqua Iddio lo sa cquanto me pesa.

Io fo ar zu’ tempo li portoni rotti
10co la mazzola:5 io, ssciorte le campane, 6
sparo la divozzione de li bbotti.

Io pijjo pascua pe mmé e le mi’ poste; 7
e, ppe ttappo8 dell’opere cristiane,
fo bbenedí er zalame e ll’ova toste.

C’era però anche chi era ligio a quanto imponevano i divieti emanati dalle autorità ecclesiastiche: per questi rimanevano soltanto i ceci e il baccalà, per chi, come già detto,  se lo poteva permettere… vista la povertà in cui viveva  il popolo, per il quale era quaresima tutto l’anno.

I maritozzi
Un’usanza prettamente romana era il  maritozzo  dolce tipico romano, che si usava mangiare in alternativa, proprio in questo periodo, perlopiù a cena.
E qualcuno era così devoto… da mangiarsene chissà quanti anche durante il giorno..
Almeno così ci riferisce, con la sua arguzia tutta romanesca, Giggi Zanazzo, nei suoi “Usi, costumi e pregiudizi del popolo di Roma

(articolo preso da vari siti,pertanto non so chi è l’autore)